La Bisa Bianca
Leggenda della Conca Agordina
La leggenda della Bisa (o Bissa) Bianca è un racconto popolare molto famoso in Conca Agordina, Cuore delle Dolomiti. La leggenda, che racconta la liberazione della Valle di San Lucano (Taibon Agordino) dai serpenti, è spesso messa in relazione con la figura di San Lucano e, sembra, ispirata da oscuri fatti di cronaca avvenuti al tempo dell’edificazione della Chiesetta di San Cipriano.

Stando alla leggenda, la Valle di San Lucano era un tempo un luogo inospitale, pieno zeppa di serpi velenose, tanto da essere chiamata Val Bissèra o Val Serpentina. Gli abitanti, esasperati dalla presenza dei rettili, riunitisi in assemblea decisero di chiedere aiuto ad un esperto del settore, tale Strigòn da Moena (stregone da Moena).
Il vecchio accorse in soccorso dei Taibonèr ed accettò l’incarico di liberare la valle dai serpenti, a patto che gli abitanti del luogo gli garantissero che non era presente in valle la mitica Bisa Bianca [Biscia Bianca]; e poichè nessuno dei Taibonèr aveva mai visto la creatura, rassicurarono lo strigòn.
Il fattucchiere fece erigere una calchèra enorme (i tipici forni per la cottura della calce, ancora visibili in molti villaggi e boschi agordini) e la fece riscaldare per tre giorni e tre notti. Il forno, ardendo ininterrottamente, raggiunse temperature talmente elevate da rischiarare con le tinte dell’Enrosadira le pareti delle Pale di San Martino anche durante le ore notturne.
A quel punto, lo Strigòn da Moena iniziò ad intonare con un piffero una strana melodia. Al richiamo della musica, milioni di serpenti di ogni specie accorsero e si gettarono all’interno della calchèra incandescente, bruciando immediatamente.
Proprio quando l’opera sembrava compiuta, terrorizzati i Taibonèr videro strisciare dalle cime delle Pale di San Martino la gigantesca Bisa Bianca:
“Sora le crode del Coston del Mièl,
un fis-cio fa tremà la tera e ‘l Zièl;
l’era la Bisa Bianca che vegnìa
fòra per la valada d’Angheràz“
(“Sopra le crode del Coston del Miel, un fischio fa tremare la terra e il cielo; era la Bisa Bianca che usciva dalla Val d’Angheràz“)
Lo stregone si si issò su un albero, mentre i Taibonèr cercarono di mettersi al riparo dalla tremenda creatura:
“Tuta la zent la scampèa
ma co i ha vist che la ‘ndea dreta dreta
a la fornass, tuti quanti sperea
che in mez de chela brasa la finisse
in compagnia de tute le altre bisse“
(“Tutta la gente scappava, ma quando videro che andava dritta dritta alla fornace, tutti speravano che finisse in mezzo alla brace in compagnia di tutte le altre serpi”)
La Bisa Bianca proruppe in valle, lunga almeno cento metri; e prima di tuffarsi nella calchèra, vede lo stregone ancora fermo sull’albero, lo sradica e lo trascina con sé nella fornace rovente:
“e po la alza la testa verso el pez
e la vet lassù chel da Moena;
senza nè tre nè quatro,
la se intorcola intorn del polon
la se sforza; la tira, la el despianta
e inte la calcherea, tut un rebaltòn,
va l’alber a brusase, ela e l’ Strigòn“
(“e poi alza la testa verso l’albero e vede lassù quello [lo Strigòn] da Moena; e senza tre nè quattro, si attorciglia intorno al tronco, si sforza, tira e lo sradica, e dentro la fornace, contorcendosi, brucia l’albero e anche il fattucchiere”)
Scompaiono così fra le fiamme sia il mago che la grottesca creatura. Da allora, a quanto si dice, non sono più state viste serpi in Valle di San Lucano, né nessuno ha mai più la Bisa Bianca, sebbene, stando alla leggenda, l’eco dell’apparizione della bestia suscita ancora paura e raccapriccio in tanti Taibonèr che guardano al fondo della Valle di San Lucano.
“Da chela olta in qua, inte in Val,
no se ha pi vist na bisa;
de lujo i fa la inte un carneval,
i ha piantà casete in mez ai sas,
brontola sempre l’acqua del Tegnàs.
E tuti chei aonìzz e chei bei faghèr,
chela cesèta là fora del bòsch,
le zime dell’Agnèr, senza èse impostòr
ghe scomète, che a tuti
ghe fa ancora buligà un cantòn del cor“
(da allora, in Valle di San Lucano non si vide più un serpente. A luglio si fa li una festa [la Sagra de San Lugàn], ci hanno eretto casette in mezzo ai sassi e sempre brontola l’acqua del Torrente Tegnas. E tutti quei bei ontani e faggi, quella chiesetta al limitare del bosco, le cime dell’Agner, scometto, senza timore di straparlare, che a tutti fanno ancora sobbalzare il cuore).