La Scoperta delle Dolomiti
Al giorno d’oggi, è difficile trovare qualcuno, almeno in Europa, che non conosca le Dolomiti o che non abbia una vaga idea della zona quando ne sente parlare.
Le Dolomiti sono, almeno dalla storica edizione dei Giochi Olimpici Invernali del 1956 di Cortina d’Ampezzo, un must universalmente conosciuto per le vacanze invernali, e godono da qualche decennio a questa parte di un successo rapida ascesa per quanto riguarda la frequentazione estiva presso il grande pubblico.

A contribuire alla fama delle Dolomiti sono non solo la qualità dell’offerta turistica in sé, quanto piuttosto la bellezza unica ed incomparabile delle formazioni montuose che caratterizzano questa zona delle Alpi Orientali e che ne fanno una delle destinazioni montane più attrattive del mondo intero. E proprio la straordinaria bellezza delle Dolomiti, ancora prima delle caratteristiche geologiche, uniche nel loro genere, fu alla base della scoperta scientifica dei Monti Pallidi.

Ci sono pochissime testimonianze della conoscenza delle Dolomiti in epoca moderna precedenti al 18° Secolo. Albrecht Dürer dedicò a queste cime una serie di acquerelli nel 1494, il primo esempio di pittura paesaggistica europeo. Poi il silenzio si fa pressoché assoluto.
Le Dolomiti hanno guadagnato notorietà a livello internazionale e scientifico sul finire del 18° Secolo, nel tardo Illuminismo, ovvero nel più importante momento intellettuale successivo all’Umanesimo per la Cultura Occidentale. Sono due le tappe fondamentali legate alla scoperta scientifica delle Dolomiti.
La prima data cruciale è il 1789, anno nel quale il geologo Deodat de Dolomieu identificò per primo le peculiarità del minerale di dolomia che compone i Monti Pallidi. Qualche anno più tardi, Nicolas de Sausurre, amico di Dolomieu e membro della prestigiosa famiglia di scienziati svizzeri alla quale appartiene anche il famoso linguista, confermì a quel particolare minerale il nome di “dolomia“, in onore dell’amico.
Scrive Goethe sulle Dolomiti nella sua famosa opera Italiänische Reise (1786):
“Le Alpi calcaree che ho attraversato finora sono di colore grigio ed hanno forme belle e stranamente irregolari, anche se la roccia è disposta in strati. Tuttavia, poiché ci sono anche strati arcuati e la roccia si sgretola in modo estremamente frastagliato, le pareti rocciose e le cime assumono forme straordinarie”
La seconda data rilevante per la geologia delle Dolomiti è il 1822, anno nel quale il geologo Leopold von Buch, dopo un attento studio prolungato in loco della stratigrafia delle Dolomiti, chiamò l’amico Alexander von Humboldt, al tempo il massimo esperto del settore, per studiarle attentamente. Gli studi attentamente condotti dai due amici, figure di grande rilevanza nell’ambiente culturale europeo, contribuirono non solo a rendere celebri le Dolomiti in ambito scientifico, ma anche a conferire ai Monti Pallidi enorme risonanza e fama in ambito artistico, letterario, estetico, culturale. Grazie al loro lavoro, le Dolomiti si guadagnarono un nome prestigioso e conosciuto in tutte le Nazioni europee, dando il via all’epoca d’oro delle esplorazioni non solo scientifiche ma anche culturali.

Si ebbero così le prime pubblicazioni letterarie sulle Dolomiti: nel 1837 vide la luce a Londra il “Murray’s Handbook” di John Murray e il “Reisehandbuch durch Tirol” di Beda Weber. Entrambe le guide ebbero una fortuna editoriale notevole, contribuendo a diffondere il mito delle Dolomiti tra i viaggiatori, gli artisti e gli esploratori inglesi e tedeschi.
“Sono diverse da tutte le altre montagne e non si vedono da nessun’altra parte delle Alpi. Attraggono l’attenzione per la singolarità e la pittoricità delle loro forme, per le loro cime aguzze o corna, che a volte si innalzano in pinnacoli e obelischi, altre si estendono in creste seghettate, dentellate come la mascella di un alligatore; ora schermano la valle con un precipizio scosceso alto molte migliaia di metri, e spesso si spaccano con numerose fessure che corrono tutte quasi verticalmente. Sono perfettamente brulle, prive di vegetazione di qualsiasi tipo e di solito di colore giallo chiaro o biancastro.”
John Murray, 1837
Del 1864 è invece il celebre “The Dolomite Mountains” degli scrittori inglesi Gilbert e Churchill, il risultato di un anno di peregrinazioni attraverso i Monti pallidi. L’opera ebbe il merito di coniare il nome “Dolomiti” per definire le montagne composte di dolomia e contribuì definitivamente ad estendere la conoscenza della zona ad un pubblico più ampio, fatto non solo di scienziati ed artisti. Nel 1868, quando John Ball, il famoso esploratore alpinisico delle Dolomiti che per primo conquisterà la vetta del Pelmo, scrisse “The Eastern Alps”, il nome Dolomiti era già ufficialmente dato per acquisito.
“…il contrasto netto tra le loro alte pareti a strapiombo, coronate da cime frastagliate e pinnacoli, tra cui si vede un ghiacciaio sospeso, e i pendii verdi e morbidamente gonfianti ai loro piedi, che danno allo spettatore l’impressione di essere stati sparati dal basso nella loro forma attuale, perfetta e completa… (…) nulla può essere più singolare del loro aspetto, e in certe luci, come il tramonto o il chiaro di luna, appaiono in modo positivo in profondità.”
J. Gilbert and G.C. Churchill, 1864

Del 1872 è “Untrodden Peaks and Unfrequented Valleys“, un diario di viaggio autobiografico redatto dall’inglese Amelia B. Edwards che racconta delle sue peregrinazioni per le Dolomiti. Benché il libro sia praticamente sconosciuto nella patria della scrittrice, grande rilevanza ha ancora oggi nelle Dolomiti, dove viene spesso citato sia per l’interesse storico che per lo splendido esempio di come i Monti Pallidi sappiano incantare il visitatore.
“attraverso un buco nelle montagne all’estremità più lontana del lago, siamo spaventati da una strana apparizione di pallide cime fantastiche sollevate in alto contro l’orizzonte settentrionale (…) non le abbiamo cercate né le abbiamo aspettate – eppure eccole lì, così sconosciute, eppure così inconfondibili! Si sente subito che sono diverse da tutte le altre montagne, eppure sono esattamente come ci si aspettava che fossero”
A. B. Edwards, 1872

Seguono altre importanti opere e pubblicazioni sulle Dolomiti in ambiente letterario europeo: “Holiday in Tyrol” di Walter White (1876), “Les Pais des Dolomites” di Jules Leclercq (1880), “Aus den Alpen” di Robert von Lendenfeld (1896), “Die Dolomiten” die Theodor Christomannos (1910).
Unitamente al filone scientifico e letterario, contribuisce a diffondere la fama delle Dolomiti anche il filone legato all’esplorazione alpinistica dei Monti Pallidi. John Ball conquista il Pelmo nel 1857 e pubblica qualche anno dopo “A Guide to the Eastern Alps” (1868); seguono “The Italian Alps” (1875) e “Wanderungen in den Dolomiten” (1877) di Paul Grohmann, “A Pioneer in the high Alps” di Francis Fox Tuckett (1874), “Im Hochgebirge” di Emil Zsigmondy (1889), “Climbing in the Dolomites” di Leone Sinigaglia (1896). Proseguono questo filone di letteratura alpinistica Emilio Comici, Tita Piaz, Reihold Messner e molti altri.
“Saper escogitare il modo più logico ed elegante per raggiungere una vetta, evitando la pendenza più facile e comoda, e scalarla con uno sforzo consapevole di tutti i nervi, i muscoli, le fibre, disperatamente tesi a battere l’attrazione del vuoto e le vertigini, è una vera e propria opera d’arte; è un’azione di grande bellezza umana che, in quanto tale, vive nello spirito delle grandi creazioni artistiche.”
E. Comici

Al tempo della visita di Dolomieu in zona, il comparto alberghiero nelle Dolomiti era già sviluppato, certamente non ai livelli attuali; tuttavia sia nella parte tirolese che in quella veneziana delle Dolomiti esistevano già pensioni, taverne e piccoli alberghi che vivevano grazie ai frequenti scambi commerciali tra la Serenissima e le potenze Austriache e Tedesche. A partire dall’inizio del 19° Secolo fino a circa la metà del Secolo si registrò un limitato flusso di visitatori generato dagli studiosi che si recavano in loco per studiare le particolarità geologiche delle Dolomiti.
Nella seconda metà del 19° Secolo, quando iniziarono le esplorazioni alpinistiche e successivamente quelle “culturali”, si assiste ad un incremento delle potenzialità ricettive della zona dolomitica. Circa dal 1870 al 1910, l’industria dell’accoglienza turistica andò strutturandosi massicciamente, raggiungendo i livelli qualitativi delle Alpi Svizzere nei resort più prestigiosi (come Cortina d’Ampezzo), anche se lo sviluppo alberghiero fu trasversale a tutta l’area.
La Grande Guerra fu probabilmente l’unico momento di arresto alla crescita turistica della zona delle Dolomiti; si trattò fortunatamente di una fase che fu superata nel periodo immediatamente successivo al conflitto.
A partire dagli anni ’30 del 20° Secolo si assiste invece alla vera fioritura del turismo moderno nelle Dolomiti, complice lo sviluppo del comparto sciistico in Europa. L’Agordino, Cortina d’Ampezzo, il Cadore, la Val Badia, la Val di Fassa sono tra le prime località ad acquisire notorietà nazionale e non solo: la prima Pro Loco d’Italia nascerà proprio all’ombra del Monte Agner, a Voltago Agordino.
Dal ’56, ovvero dalle Olimpiadi Invernali, si inizia a costruire impianti di risalita nelle Dolomiti. Lo sci alpino inizia a portare il turismo di massa in questi eremi alpini prima accessibili limitatamente. Con l’industria del divertimento costituita dalla sci, uno sport in rapida ascesa dalla metà negli anni ’60, le Dolomiti iniziano a guadagnare fama internazionale, non solo per le piste da sci in sé, ma ancora una volta per i loro panorami incredibilmente suggestivi. Si inizia, contestualmente alla costruzioni degli impianti, a potenziare la rete alberghiera e tutte le infrastrutture accessorie per l’accoglienza turistica. Fortunatamente, diciamo oggi, in pochissimi casi si giunge alla costruzione di imponenti strutture alberghiere sul modello francese, e le Dolomiti rimangono ancora un luogo in cui l’approccio famigliare all’accoglienza turistica è predominante.

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